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ARTICOLI

La Strada

Permettimi di fare un' analogia (che come tutte le analogie ha una sua logica se ne comprendiamo il senso). In fondo (o in superficie) la vita può essere immaginata come una strada a senso unico. E' a senso unico almeno a livello della coscienza nascita e morte procedono in una sola direzione lungo una "linea retta" (ovviamente nel mondo della profondità le cose stanno diversamente. Il percorso è molto più circolare, o meglio, mandalico ). Allora continuiamo nella analogia. Dicevamo che si tratta di una strada a senso unico. Questo - come detto - è legato al trascorrere del tempo. Per alcuni il percorso della strada (almeno in medicina cinese) è molto legato alla Yuan Qi ed al Jing che tradotto in occidentale vorrebbe dire che come la strada è fatta dipende dalla genetica. Sia in occidente che molto più in medicina cinese questo viene chiamato anche "fato" che in energetica è legato a quelle energie che si localizzano alle reni. Insomma in poche parole il "fato - destino" di ciascuno stabilisce come è fatta la strada. Se è inizialmente pianeggiante oppure presenta subito salite o al contrario se ha molte discese prima ancora di essere pianeggiante.
Detto in altri termini se la strada è scorrevole o al contrario se è difficoltosa per alcuni (specialmente in energetica) è legato molto a ciò che è in noi ma non siamo noi (il fato - destino).
Spesso poi (e lo descritto nell' ultimo libro che ho scritto di medicina cinese) la strada ci compare nei sogni. Spesso si tratta di una strada in cui guidiamo una macchina. La possiamo guidare noi od altri. E in qualche modo rappresenta come stiamo "guidando" (o ci facciamo guidare) la nostra vita.
Ma non volevo parlare della guida della macchina perché ci "porterebbe via" dall' oggetto del nostro discorso.
Dicevamo la strada: può essere in salita o pianeggiante e questo - come accennato - dipende dalla "genetica".
Ma mi interessava richiamare la tua attenzione su un altro aspetto: la larghezza della strada stessa.
Insomma la strada può essere molto stretta (e questo rende difficoltoso stare al centro) o al contrario molto larga ed "accogliente" (ed è evidente che in questo caso è molto più facile stare all' interno della strada stessa).
Questo è il punto o uno dei punti centrali. Se la strada è molto stretta è evidente che nei momenti di sbandamento (pensa al vento forte) è facile uscire dalla carreggiata.
Fuor di analogia il forte vento rappresenta i vari accadimenti a cui inevitabilmente ci sottopone la vita (parlo di vento perché questo in medicina cinese classica rappresenta i cambiamenti che dall' "esterno" ci spingono e ci arrivano dall' esterno). Se la nostra strada è larga è evidente che è molto più facile rimanere in carreggiata.
E la larghezza della strada dipende da noi. Da quanto abbiamo imparato a capirci, da quanto siamo alleati con noi stessi, da quanto abbiamo smesso di giudicare e (specialmente) giudicarci e abbiamo provato a capirci. La larghezza della strada dipende poi da quanto stiamo nel presente e quindi da quanto ricordiamo che il passato va lasciato andare.
Stare nel presente e cercare di carpirci e non giudicarci (e non giudicare gli altri che molto spesso è una proiezione dei giudizi che diamo o daremmo a noi stessi) allarga la strada.
Trovare del tempo per se, per ciò che piace … anche questo allarga la strada. Lo stress la riduce. E' questo è un altro dei "motivi capitali" per fare, costruire una strada larga, fiorita, con "rinforzi" ai lati….
E' evidente a tutti che quando siamo molto stressati basta poco…. A farci andare fuori.
La nostra strada, in poche parole, almeno in parte la costruiamo noi.
Il mio amico fraterno e maestro prof. Carlo Di Stanislao diceva sempre "il fato è invariabile ma il destino ce lo costruiamo noi. Il fato sono le carte che ci sono date nella partita della vita. Il destino è come ce le giochiamo".
Quindi, concludendo, vorrei tu ricordassi che se è vero che molto ci è dato, altrettanto dipende da noi. Dalla nostra capacità di fermarci ed apprezzare il panorama. Da quanto smettiamo di "pensare solo al "traguardo" ed invece ci guardiamo attorno. E' stato detto che ciò che osserviamo ai lati della nostra strada sono gli specchi di ciò che in noi faremmo molto più fatica a vedere.
Vedi tu.



La "frattura" degli dei (di Maurizio Corradin e Carlo Di Stanislao)

"I costumi e le convinzioni cambiano; la gente rispettabile è l'ultima a saperlo, o ad ammettere il cambiamento; alcuni si potrebbero offendere specchiandosi nello specchio dell'arte"
John Updike
"La vita si misura dalla rapidità del cambiamento, dalla successione delle influenze che modificano l'essere"
George Elliot
Nelle società tradizionali il "vecchio" era il saggio e aveva il rispetto generale. Negli ultimi venti anni le cose sembrano molto cambiate ed il trascorrere del tempo e "l' invecchiare" è associato (sia negli uomini che nelle donne - e specialmente in queste ultime - ) a connotazioni sempre più negative.
Per capirci facciamo un giochino.
Prendiamo le prime 1000 donne che passano per la strada. Le mettiamo all' interno di 1000 cabine e diamo a loro la "bacchetta magica" che ha l'incredibile proprietà di "trasformare" fisicamente e psicologicamente in quello che il soggetto vuole.
Qui facciamo la domanda?
Come usciranno le 1000 donne dalle cabine?
Avranno ancora la cellulite? Come sarà il loro naso o la loro bocca? Ed il seno come sarà? E la loro età come sarà?
E a livello psicologico saranno ancora tormentate dai dubbi o timorose o al contrario saranno determinate e sicure?
Mi sembra facile la risposta.
Tutte avranno fra 30 e 35 anni, la 3° di seno, senza un filo di cellulite, gli occhi verde azzurri magnetici e splendenti, la bocca a cuore con labbra perfettamente disegnate.
Eleganti ed affascinanti ma anche determinate, decise "con le palle". Insomma tutte uguali.
E per gli uomini… E' lo stesso. Tutti alti 1,90 metri spalle larghe, muscoli ben disegnati (specialmente gli addominali), capelli fluenti, occhi penetranti, molto intelligenti fino alla genialità, senza un filo di pancia… Tutti uguali.
Insomma abbiamo disegnato esseri perfettamente normali, degli "dei" senza età, in cui il trascorrere del tempo non lascia traccia nel viso e nel corpo… degli dei (con la d minuscola). Perfettamente normali.. Un po' come alcuni dei dell' olimpo…
Poi vi è la seconda parte del giochino…
Proviamo a ricordare quando abbiamo avuto l'ultima volta un' emozione intensa con un compagno (o una compagna) con il quale si attivava una parte essenziale del nostro "cuore" e proviamo a chieder a lui (a lei) come sono io per te e se questo (questa) ci diceva "perfettamente normale". Quale emozione ne avremmo avuto?
Anche qui è facile la risposta . Doveva essere rispondere che siamo unici.
Questo "giochino" per sottolineare come i nostri "conflitti" interiori siano facilmente evidenziabili nel rapporto con gli altri (gli altri importanti…). Dobbiamo essere contemporaneamente perfettamente normali e contemporaneamente unici.
Degli dei, bellissimi senza tempo, "perfetti" e nello stesso tempo unici. Ma questa non è una condizione umana. E qui non entro nel discorso dei "chirurghi estetici" o dei "chirurghi psicologici" (il discorso ci porterebbe troppo lontano….).
Io vorrei invece tornare al punto "la frattura degli dei". Ho dato questo nome perché mi sembra che siamo "fratturati" dentro. Abbiamo (nella profondità della testa) l'immagine di un dio (sempre con la d minuscola) senza tempo, "perfetto" e contemporaneamente unico. E solo un dio può essere così (ed è un dio un po' banale).
E' fratturato, senza una "personalità" propria, senza tempo. E' l'immagine "psico fisica" di qualcuno nell' Olimpo che risiede nella "nostra profondità", nelle aree più profonde della nostra mente e ci avvelena la vita.
E poi mi guardo allo specchio "psico - fisico" e mi vedo. Lo specchio "riflette" la nostra immagine. Ma l'immagine che noi mettiamo nello specchio "psico - fisico" è anche quella di quel "dio" che dovremmo essere. E poi vedo che non lo sono.
Sono un dio "fratturato", quel "io" che vedo nello specchio o quella immagine di riferimento che è allogata in profondità dentro di me.
Se tutte le religioni affermano che "Dio" (con la d maiuscola) è dentro di noi qualche buona ragione dovrà pur esserci. Allora ritorniamo al punto.
E' indubbio che nel mio mondo interiore esistono "immagini" (qualcuno le chiama anche "archetipi", si tratta di "figure" probabilmente ereditate, in qualche modo semidivine). Poi queste si realizzano nella mia testa, nella vita e nel mondo che ci circonda perdendo quella "aura" di "divinità", realizzando l'essere uomo centrato nel "nel tempo e nello spazio" (cioè nel nostro mondo). E sottolineo "centrato nel tempo che trascorre".
Ed invece ora spesso non è così. Vorremmo che queste immagini interiori semidivine, questo Apollo Narciso che vive nei nostri miti e nei miti dell' umanità si realizzasse anche al di fuori dell' Olimpo (e per analogia al di fuori della profondità della nostra mente), vorremmo che rimanesse tale anche nel nostro mondo fatto di tempo e di spazio.
E' poco più di una banalità pensare che non può essere così, che per fortuna non è così. Eppure… Abbiamo fratturato gli Dei (questa volta con la D maiuscola). Li abbiamo fratturati perché questi devono vivere appunto nell' Olimpo (e per analogia nella profondità dell' essere). Poi nel mondo cosiddetto reale deve vivere l'uomo che è in me, con le sue rughe che "disegnano" la vita. E' il mio libro aperto che posso guardare allo specchio per capirmi.
E questa è la grande "frattura" degli dei. E' la frattura perché - ripeto - gli dei archetipali devono vivere nella profondità dell' Essere. E' invece li vorremmo nel presente, nel qui e ora, nel viso o nella coscienza, nel mondo fatto di tempo e di spazio (che nell' olimpo - e nella profondità della mente - o non è presente o e comunque diverso dal tempo della coscienza. Dio non è proprio per questo una funzione che "trascende" lo spazio e specialmente il tempo?).
E' questo che è più facilmente intuibile a livello fisico vale anche sul piano psicologico (il "dio interiore" è senza dubbi, vigoroso, determinato, capace di fare ed essere contemporaneamente, ubiquitario ecc, ecc, ecc).
Un altro aspetto a questo correlato: da sempre la storia dell' umanità è contrassegnata da "giovani" molto più progressisti e da "vecchi" molto più conservatori.
Non ho l'impressione che ora le cose stiano effettivamente così. Ho l'impressione che i "giovani" (e - per la questione che ci interessa - la parte giovane dentro di noi) sia più conservatrice. Qui devo aprire una parentesi. A volte è più facile vedere negli "altri" i nostri conflitti interiori. E allora - anche in questo senso - può essere utile "osservare" (e specchiare…) gli altri perché rappresentano nel cosiddetto mondo reale le nostre "tensioni interiori". Chiusa questa parentesi ritorniamo al punto.
Se è così (cioè i giovani e la nostra parte "giovane" non è più progressista) abbiamo di nuovo fratturato gli dei. I giovani (e la nostra parte giovane), la parte di noi che mostra più chiaramente gli archetipi presenti, quella che non si è ancora completamente "umanizzata", quella che ci determina il cambiamento, la progressione… quella parte più semidivina dell' uomo sta divenendo più materialista, più legata agli aspetti più "commerciali" della vita.
E' gli altri sono il nostro specchio. Come diceva un mio amico "gli anni si aggiungono e non si sostituiscono". Così un uomo di 60 anni ne ha anche 10, 20, 30, 40, 50. E' quindi ha la parte più divina e quella più umana (o più vecchia) contemporaneamente dentro se che come una pila lo alimenta. E' il conflitto dell' uomo che rappresenta la sua forza. Ma se abbiamo "fratturato gli dei" poco rimane anche dell' uomo.
Da qualche tempo circolano nel mondo della scienza due termini nuovi che potrebbero essere i protagonisti di una vera e propria rivoluzione nel campo dello studio delle relazioni umane. Questi due termini, lo avrete capito già dal titolo, sono "empatia" e "neuroni specchio". Il primo dei due, che appartiene alla terminologia psicanalitica, in realtà non è affatto nuovo. Il nome deriva dal greco ???????? che, tradotto un po' liberamente, vuol dire "sentire il dolore altrui dentro di sé".
Il termine "empatia", che oggi dilaga in ogni campo della cultura veniva usato già nella Grecia classica per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava il "cantore" al suo pubblico. Ma il suo ritorno in auge in tempi più recenti è merito delle psicanalisi. Ed è stato utilizzato per la prima volta dagli scuole post-freudiane. Freud infatti riteneva che il medico dovesse mostrarsi emotivamente "neutrale" nei confronti del suo paziente, cioè freddo: non doveva raccogliere per alcun motivo le emozioni trasmesse dal paziente. Gli psicanalisti post-freudiani come Heinz Kohut invece, hanno completamente ribaltato questo concetto, valorizzando molto la capacità di percepire le emozioni trasmesse "dagli altri". Essi ritenevano infatti che raccogliere le emozioni del paziente fosse uno strumento fondamentale per esplorare il suo animo.
Il concetto di empatia è oggi ampiamente utilizzato dalla medicina in generale, che si serve del processo empatico per favorire il flusso di comunicazione fra il medico ed il suo paziente. E'grazie all'empatia che io riesco ad entrare nella sua anima e, così facendo, riesco a vedere il mondo con i suoi occhi. Personalmente tuttavia, quando penso all'empatia, penso ad una frase pronunciata dallo psicologo Gustave M. Gilbert che, durante il processo di Norimberga prestava assistenza ai criminali nazisti sotto processo.
Quando gli chiesero se, a contatto con quegli uomini che avevano freddamente e lucidamente torturato e sterminato milioni di persone, si fosse fatto un'idea di cosa fosse il male assoluto, la sua risposta fu pressappoco questa: "credo che la natura del male assoluto sia costituita dalla mancanza di empatia". Questa mi sembra la migliore definizione che sia mai stata data del male generato dall'uomo. Spesso ci arrovelliamo nel tentativo di definire e di comprendere i meccanismi alla base del dolore che un uomo può infliggere a un suo simile. Forse la spiegazione è racchiusa tutta in quella semplice frase. Chi fa del male non è capace di "sentire" il "Cuore" dell'altra persona. Specularmente, ciascuno di noi sa bene quanto sia difficile levare la mano per colpire un proprio simile se, anche per un attimo, ci identifichiamo in lui. Diceva Otto van Bismark: "chi ha guardato negli occhi un soldato morente rifletterà prima di intraprendere una nuova guerra": Certo questa frase non risuonò neppure un attimo nella mente di Hitler prima di scatenare una guerra genocida, Né ha risuonato nella mente dei mille piccoli Hitler che hanno infestato il mondo nei successivi sessant'anni.
Ma è proprio qui il punto: guardare un uomo negli occhi vuol dire rispecchiarsi in quello sguardo, riconoscerlo come il proprio. Vuol dire, in altre parole, guardare il mondo con gli occhi di un'altra persona, fosse anche il nostro peggior nemico.
Ci chiediamo a questo punto, esiste un meccanismo nella nostra mente che determina la capacità di specchiarci, di identificarci nell'altro da noi? E questo meccanismo, se esiste, è già presente nel nostro codice genetico, o è un valore che acquisiamo attraverso la cultura, l'educazione, la religione? Direbbero gli anglosassoni: nature or nurture? La scoperta dei neuroni specchio ha gettato una luce nuova e del tutto inattesa su questa domanda.
I neuroni specchio sono cellule del nostro cervello che si attivano selettivamente, diciamo si "accendono" sia quando compiamo un'azione, sia quando la osserviamo mentre è compiuta da altri. I neuroni dell'osservatore "rispecchiano" quindi ciò che avviene nella mente del soggetto osservato, come se, a compiere l'azione, fosse l'osservatore stesso.
Se l'empatia è un meccanismo legato ai neuroni-specchio, qualcuno potrebbe pensare che, più neuroni-specchio abbiamo nel nostro cervello, più siamo empatici e, se non ci va affatto di essere gentili con il nostro prossimo, poco male in fondo: la colpa non è nostra, ma del destino cinico e baro che non ci ha rifornito a sufficienza di queste preziose cellule. Invece le cose non stanno affatto così. E a chiarirci le idee ci hanno pensato i dati provenienti dalla meditazione dei religiosi più osservati, spiati e studiati nella storia della scienza: i monaci buddisti. Questi uomini pii trascorrono molte ore della loro vita ad allenarsi in esercizi di compassione, in cui, annullando le loro personali pene, preoccupazioni e dolori, si concentrano solo ed esclusivamente sul dolore altrui. Empatia allo stato puro dunque. Vera e propria attività di potenziamento dei neuroni-specchio. Ebbene, studiando il comportamento della loro mente durante questi esercizi, con la risonanza magnetica funzionale, si è osservato come i monaci riescono a concentrare la propria attività in aree specifiche del cervello che risultano, negli anni, suscettibili di un vero e proprio "allenamento". Dunque il pensiero empatico e, verosimilmente, l'attività dei nostri neuroni-specchio, è un'abilità che può essere allenata.
Certamente il sistema-specchio è alla base dei meccanismi di socializzazione. Riconoscersi in un altro individuo vuol dire accettarlo nella propria vita. Questo ha un valore biologico immenso perché consente la creazione di gruppi omogenei di individui in grado di collaborare fra loro e di costituire un fonte unico contro le avversità. Senza il sistema-specchio probabilmente non esisterebbe la società, ma solo individui isolati, di pessimo carattere e in continua guerra fra loro. Ma forse il valore del sistema-specchio è ancora più grande: potrebbe trattarsi di un sistema di apprendimento globale.
E'facile intuire che i neuroni-specchio, riconoscendo i gesti altrui come propri, consentono l'apprendimento per imitazione. Ma potrebbero essere anche alla base della conoscenza di sé: può sembrare strano, ma l'uomo non è in grado, da solo, di costruirsi un'immagine del proprio io: noi ci vediamo e ci riconosciamo attraverso l'immagine di noi che gli altri ci rinviano. Se un uomo vivesse tutta la sua esistenza in un'isola deserta, avrebbe spaventosi problemi di identità. Insomma, gli altri sono il nostro specchio. Apprendendo dagli altri, impariamo anche a conoscere noi stessi attraverso gli anni ed i cambiamenti interni ed esteriori e che non sono né seducenti né poco attraenti, ma espressioni della nostra forma nel tempo della vita e nella consapevolezza delle emozioni che la segnano, la plasmano e la raccontano.
Siamo circondati da specchi che ci rimandano fedelmente quello che siamo dentro, e lo fanno senza censure o falsità. Essi sono sempre maledettamente sinceri e questo alcune volte dà proprio fastidio, e può far male.
Gli altri, le persone che vivono con noi sono questi specchi, così come noi lo siamo per-loro.
Se una cosa ci appartiene, nel senso che siamo ancora condizionati da essa, attrarremo proprio quel tipo di esperienza sotto la veste di una certa persona che, ignara stimolerà una certa reazione. Tutto quello che accade viene sempre attratto per poterlo risolvere e superare. Ecco perché le esperienze spesso si ripetono sempre uguali.
Il nostro cervello perciò ci fa reagire nello stesso modo perché conosce solo quella soluzione, ed è per questo motivo che si soffre. Si rimane bloccati in un labirinto senza vie d'uscita.
Le persone che incontriamo suscitano delle reazioni che vanno a solleticare quelle parti della personalità che necessitano di una aggiustatina.
Per questo alcune persone possono farci imbufalire, esse hanno il codice d'accesso al nostro io profondo e riescono ad affondare un colpo intenso al nostro sistema energetico.
Tutto è energia, anche pensieri ed emozioni, per questo basta un certo stimolo per innescare determinate reazioni.
Come fare per uscire dal solito dedalo di strade nel nostro cervello? Come accendere nuove sinapsi e quindi nuovi stati d'animo?
Basta accedere al cuore, e prendere coscienza che una certa azione/reazione nasce sempre dal bisogno di capire, conoscere e crescere. E soprattutto occorre cambiare, nella forma e nei pensieri, perchè solo cambiando si può davvero trasformare la propria vita, scoprendo che esistono molte strade, giuste o sbagliate nei diversi momenti ed in rapporto ai vari momenti della nostra esistenza.
Accettare questo cambiamento, questo trascorrere del tempo diviene la nostra sfida. E non solo accettarlo dentro ma anche "fuori", sulla pelle. E quindi senza più fratture. E grazie a questi meccanismi, senza fretta, comprendere "con il cuore" che tutto può e deve essere leggero. Comprese le nostre rughe o i nostri "errori". Smettendo di essere dei giudici implacabili di noi stessi e degli altri proprio perchè abbiamo "compreso" il meccanismo interiore che "alimentava questi "giudizi". E lo abbiamo compreso anche grazie all' empatia ed al rapporto con gli altri…
Lasciamo quindi gli dei nel loro luogo (l'olimpo, il Cuore o la profondità della mente). Li lasciamo li, nel loro senza tempo e legati al tempo stesso, nei loro cambiamenti e nella loro immutabilità (loro possono sono Dei). E vediamo i loro "figli umani" (cioè noi) con la nostra "debolezza, umanità e unicità. Vediamo noi e "gli altri" che sono in noi, i nostri "specchi asettici"e contemporaneamente le nostre passioni. E difficile avere una passione senza "l'altro". E ancora più difficile avere una passione senza noi.




"Da 20 Tonnellate di marmo di Carrara qualcuno ricava "LA PIETA'"
e qualcun altro dei sassi da gettare nel mare"
M. C. Nidarro

La sindrome della "pallina da ping pong"
Si tratta di una sindrome che abbiamo "inventato" noi, sulla base delle nostre osservazioni. Allora cerchiamo di spiegarci. Abbiamo presente il ping pong dove la pallina rimbalza continuamente da una parte all' altra del tavolo da ping pong ?
Cosi a volte fanno i nostri pensieri. Pensieri che a nulla giovano se non a consumare energia. [Tra l'altro l'energia consumata è l'energia originale ( Yuan Qi) la cui quantità nell' organismo è limitata. Vi è un' aforisma in medicina cinese che dice "il Pensiero conduce il Qi energia (il pensiero si chiama Yi e la traduzione "pensiero" tradisce un po' il vero significato del termine cinese. Padre Larre, grande sinologo, traduce Yi con proposito)].
Legando fra loro le varie considerazioni si può dire che in presenza della "sindrome della pallina da ping pong" vi è un notevole consumo della energia Originale (Yuan Qi) le cui conseguenze sono stanchezza e una generale diminuzione di tutte le funzionalità dell' organismo.
Vediamo un po' come origina questa sindrome.
Il mondo esterno ci "offre" un traumatismo, una differenza fra quello che vorremmo e quello che "realmente" accade. E' questo "traumatismo" entra nella nostra mente.
A questo punto vi sono diverse possibilità. Ne prendiamo i 2 estremi (ben sapendo che esistono tutti i quadri intermedi). "Lasciamo andare" (perdoniamo, creiamo l' oblio ecc) e certo il traumatismo determina i suoi effetti ma è una ferita, che come la "sorella" in campo fisico, guarisce rapidamente.
Non lo lasciamo andare e anzi ci interroghiamo sui perché (perché ha fatto così?, ma ti sembra giusto? Non avrei mai pensato che lui (lei) potesse comportarsi in questo modo… Con tutto quello che gli ho regalato non mi aspettavo proprio… Ma perché proprio a me? ). E allora si entra appieno nella sindrome "della pallina da ping pong". Le domande - ovviamente senza risposta - (e non potremmo mai averne) rimbalzano da una sponda all' altra del nostro cervello in un meccanismo senza fine fino a che non comincia a scendere l' oblio (o comunque un meccanismo di difesa). E talvolta (o spesso) questi meccanismi funzionano male e "la pallina da ping pong" continua a rimbalzare dentro il nostro cervello avvelenandoci la vita ("oltre al danno la beffa" diceva un mio amico).
Noi pensiamo che su 1000 volte che abbiamo sofferto nella vita 3 volte sono dovute a traumatismi "importanti" e 997 al "pensiero" dei traumatismi o al fatto di chiedersi degli inutili perché.
Perche lui (lei) ha fatto così?
Devo farti una premessa: nel corso della mia vita professionale ho visto (direttamente o meno) più di 10.000 persone. E sulla base anche dell' esperienza Ti dico come la penso. Io penso che il "perché" che gli altri ci offrono a spiegazione delle loro azioni sia grandemente in relazione a chi ascolta. Detto in altri termini pur essendo "sincero" (quando lo sono) per uno stesso fatto a te la raccontano in un modo e a me in un modo (talvolta notevolmente) diverso. Spiegare i perché ci porterebbe lontano (e qui diciamo solo che la risposta che il "mondo" offre è anche una funzione dell' interlocutore). E non era questo lo scopo di queste righe. Oggi riteniamo che tutto debba essere più semplice. Non rispondo io delle azioni degli altri (chiunque siano gli altri).
Se vorranno darmi delle spiegazioni facciano pure. Ma non hanno molta importanza (anche per le considerazioni sopra riportate).
Io devo dare risposte alle mie azioni. Se vuoi possiamo dire che devo dare risposte alle "pugnalate" che do io e non certamente a quelle che ricevo. Non sono io il responsabile delle azioni degli altri. Certo se la pugnalata la ricevo da una persona che amo posso ricordare a Lei (lui) che mi sono sentito pugnalato. Ma saranno loro a doversi dare spiegazioni (se mai lo faranno). E comunque le spiegazioni se le devono dare specialmente a loro.
Quindi - ripetendo - io rispondo delle mie azioni e, (un po' alla volta), cercherò di capirle. Non rispondo invece delle azioni degli altri e non ho l' obbligo di capirle.
Ma la sindrome della "pallina da ping pong" non nasce "solo" dal traumatismo "vero" esterno, dalle pugnalate che ricevo che poi innescano tante domande.
A volte questa sindrome nasce da noi stessi. Da domande "come sarà domani?" "ma non avrò qualcosa di grave?"
Comprendere i meccanismi dell' ipocondria e della paura del futuro ci porterebbe lontano e ci svierebbe dallo scopo di questa riflessione. Vediamo allora di mettere dei punti fermi.
"il Passato va lasciato andare, il Futuro è degli Dei, e il presente è MIO" diceva un mio amico. Come diceva la citazione riportata "da 20 tonnellate di Marmo di Carrara qualcuno ricava "La Pietà" e qualcun' altro dei sassi da gettare nel mare". Questa citazione, nel significato originale dell' Autore, significa semplicemente che le cose solo lì alla portata di tutti e poi ciascuno di noi "ricava e riceve quello che pensava e credeva (è che è capace)": qualcuno un' opera d'arte e qualcun' altro delle cose quasi inutili. Dipende solo da noi.
Come abbiamo detto talvolta la "sindrome" nasce in noi. Se abbiamo un raffreddore (fisico o psicologico) ed entriamo "nella sindrome della pallina da Ping Pong" la possiamo trasformare (nella nostra testa) in qualcosa di molto grave. Ad un mio amico dicevo: "tu sei sano fino a documentata prova contraria". Fermiamoci. Ed utilizziamo una delle poche parti che il Costruttore ci ha posto sotto il nostro controllo. Una di queste è il Pensiero che ha (o dovrebbe avere) la funzione di immettere Luce nei nostri momenti bui. Il pensiero, quindi, deve immettere luce nella nostra vita, deve immettere ragionevolezza, deve immettere serenità. Tutto deve fare tranne che far diventare il "giorno" (la nostra vità… ) una notte profonda senza stelle e senza luna.
"Il Futuro non esiste" diceva qualcuno oppure come si citava sopra appartiene ad una "dimensione non umana" e quindi non vale neanche la pena di pensarci.
Certo i progetti sono importanti (Sun Si Miao, grande medico del VII° secolo diceva che i progetti sono indispensabili per il Rene, che è - in energetica - la nostra forza, la determinazione, la volontà). Ma sono importanti perché ci mantengono viva la mente ORA. Sono importanti quando ORA li realizziamo.
Altrimenti? Altrimenti è come Prometeo che voleva rubare "il Fuoco degli Dei" (che per me è il FUTURO) e per questo veniva incatenato al Caucaso con un aquila che gli rodeva il fegato, fegato che poi rigenerava in un "gioco" senza fine.
Quindi riprendendo il filo la "sindrome della pallina da Ping Pong" nasce per almeno 2 motivazioni: quando gli altri "ci accoltellano" è ci interroghiamo inutilmente sui suoi perché e poi quando ci "arrovelliamo" su ciò che accadrà domani. Bisogna smetterla.
Come ti dicevo all' inizio di questa riflessione "la rimuginazione" ( il pensiero ricorrente… ) "incolla", blocca il "Qi" e lo consuma, lo esaurisce.
Smettiamola. Noi siamo responsabili delle nostre azioni (e sono in piccola parte delle nostre emozioni). Il pensiero deve (o dovrebbe) aiutarci, dovrebbe essere un"arma" che ci aiuta a rispondere alle sollecitazioni.
Un mio amico diceva: "un uomo si distingue dagli animali per la capacità di dare risposte ragionevoli alle proprie necessità". Questo è lo scopo del pensiero. Innescare quelle azioni che ci permettono di vivere meglio e di vivere ora.
Che ne pensi?



Il Fotografo

Noi sottolineiamo sempre questo aspetto: lo stile di vita. E questo quanto più gli stimoli esterni, quelli che è difficile modificare (il lavoro ad esempio) sono "impegnativi".
Allora "dentro di noi" è necessario "ricentrarci". Perche una fotografia riesca sono necessarie due cose: un bel soggetto (ma talvolta ho visto delle splendide fotografie con oggetti dentro la foto di per se banali) ed un bravo fotografo. Questo paragone mi sembra particolarmente calzante. Puoi immaginare la vita un insieme di istanti, un insieme di qui ed ora. Quindi un insieme di fotografie. E per molti aspetti, o forse meglio per alcuni aspetti, la vita può essere comparata ad un insieme di foto fra loro concatenate. Un po' come in un film. Ma poi osserviamo la singola fotografia. Questa dipende da un lato da ciò che viene fotografato e dall' altro dal fotografo, dalla posizione che assume nel "ritrarre" l' oggetto. E' il risultato può essere una brutta fotografia oppure - al contrario - una molto "riuscita.
Da cosa dipende? Beh, è evidente che dipende da noi, "dal fotografo", da come si è posizionato, da come ha inquadrato l'oggetto da fotografare. Tutti noi fotografiamo la "realtà" e pensiamo che questa (la realtà) sia immutabile. Poi vi è un fotografo vicino a noi e ci fa vedere le sue foto. E allora le vediamo completamente diverse dalle nostre più belle (o più brutte) eppure eravamo nello stesso luogo e nello stesso tempo. Allora - quando la smettiamo di dare "responsabilità" delle nostre foto al oggetto inquadrato - allora , dicevo, comincia nella nostra mente ad insinuarsi l'idea che la foto dipende molto più dal fotografo che dal soggetto inquadrato. Potremmo quasi dire che è il fotografo che deve fotografarsi. Perché deve (o dovrebbe capire) come si posiziona, come "inquadra" l' oggetto. E allora si va a scuola di fotografia, si impara a "vedere meglio" o a vedere diverso. A vedere con occhi diversi.
Forse anche noi dovremmo fare questo. Solo che non esiste una scuola (o forse si) che insegna a vedere meglio, a vedere diverso. Lo dobbiamo fare noi. Dobbiamo cambiare la "luce" e l' "obiettivo". E poi quando fotografiamo lo facciamo "ora", lo facciamo con un soggetto "presente". E quando cerchiamo di fare la stessa fotografia ci rendiamo conto che comunque - anche se sono passati pochi secondi - è cambiato qualcosa (la luce, il vento, l' obiettivo che usiamo). Tutto cambia pur rimanendo gli stessi (o quasi) oggetti.
Come diceva un mio amico "come l'acqua di un fiume sempre uguale e mai la stessa)
Insomma tutto questo lungo discorso per dire che molto dipende da noi da come riusciamo a vivere l' istante, il momento, il qui ed ora. Da come riusciamo a non avere nostalgia del momento che è appena trascorso (o trascorso da molto). E poi - ed infine da come ci posizioniamo nell' osservarlo.
Gli stessi fotografi, lo stesso ambiente ed un risultato (la foto o l' umore) così diversi.


LE PRIGIONI

Ad un amico che abusava un po' di alcolici (e vino in particolare) avevo scritto:
"Come abbiamo detto ripetutamente (lo "stile di vita") è il punto fondamentale.
Devi decidere come vuoi vivere.
Devi decidere se rimanere in quel "luogo chiuso" dove ti sei rinchiuso (anche grazie all'abuso di alcolici) oppure cambiare.
Bada bene che pur non essendo io (ovviamente...) la bocca della verità e pur ritenendo che ciascuno deve decidere che fare della sua vita (in piena autonomia, purché consapevole...) penso realmente che tu ti sia rinchiuso.
Come dirai tu... io che posso girare il mondo, andare dove voglio... io un rinchiuso?
Allora cerco di spiegarmi meglio.
La "chiusura" è lo spazio mentale (e per questo vitale) che viviamo.
E se lo spazio mentale è chiuso possiamo andare in qualsiasi posto del mondo e rimarremo sempre dei rinchiusi, sempre ci porteremo con noi quell'esiguo spazio "mentale" che ci circonda.
E questo specialmente quando siamo "costretti" ad utilizzare alcolici per aprirlo (e per chiuderlo ancor più).
Ovviamente non ti parlerò del "pericolo" che si incorre abusando di alcolici (già lo sai...) e questo anche perchè spesso a questi individui (come nel caso di coloro che si abbuffano) dovremmo chiedere qual'è l'alternativa...
Vorrei, invece, richiamare la tua attenzione, nuovamente sull'importanza di un NUOVO STILE DI VITA, che "apra gli spazi", che ci permetta di percepire "il battito emotivo della vita".
In pratica si tratta di "andare a cavallo", andare ogni tanto a trovare i 4 amici, a cercare "nuove e vere" occasioni per essere, andare ogni tanto da un professionista (piccolo o grande che sia..) per cercare di confrontarci, di tenere presente il "presente" e tante altre cose che potrai inserire in quel programma che stai elaborando".

Ritornando a te Amico mio mi potresti dire "ma cosa centro io con gli "alcolisti"?

Ovviamente nulla Ma non è per questo che ti ho riportato questo "brano".
L'ho fatto per una "pausa di riflessione", per sottolineare che noi tutti, spesso, viviamo reclusi... tutti abbiamo costruito le nostre "prigioni"...
E questo è anche normale; sono i nostri impegni, il nostro ruolo di mariti o mogli, di lavoratori che abbiamo assunto.
Ma ancora di più è l' immagine di noi stessi; è quel continuo - spesso inconsapevole confronto - fra ciò che siamo e ciò che dovremmo essere... talvolta la nostra "prigione" è rappresentata dalla nostra "personalità" (in senso Junghiano), da quell'immagine (maschera) di noi che diamo agli altri per cui noi siamo quello e "niente più" (salvo poi accorgerci che non è così...).
Spesso, poi e anche, le nostre prigioni sono legate al "Piacere del fare", a quelle emozioni che ricerchiamo….
E quindi ciascuno di noi ha le sue prigioni...

Ma come abbiamo detto le "sbarre" le abbiamo inventate noi, siamo noi che abbiamo inventato "i modelli di riferimento"...
In fondo "basta" cambiare questi per cambiare tutto...





Peso ed il suo controllo

Esistono all'interno del nostro "cervello viscerale (ipotalamo - vedi dopo) centri della fame e della sazietà e centri che in qualche modo controllano il peso. Io credo - sulla base di un'ampia esperienza - anche se i centri non sono stati completamente identificati - i ponderostati (centro di controllo del peso) necessitino di almeno 2-3 anni di peso costante o quasi costante per "tararsi". Se in questo periodo un individuo oscilla tenderà ad acquisire l'ultimo peso. Questo significa che anche se ti fa un po strano che ora sei "sottopeso" (per il tuo cervello viscerale).
Quindi?
Quindi è particolarmente importante che tu non faccia come il solito "una grande corsa per pochi periodi e poi più nulla".

L'alimentazione e lo stile di vita
L 'alimentazione (e secondariamente il peso) rappresenta la "via finale comune" in cui si scaricano le "tensioni", siano esse noia stress o altro. Comunque sia non è possibile modificare l'alimentazione senza modificare quel "qualcos'altro" che chiamiamo "stile di vita".
Bisogna pensare di modificare (un po') il tutto.
Mi spiego meglio.
Se si modifica semplicemente l'alimentazione (in senso restrittivo) è evidente che la restrizione potrà essere utilizzata per un tempo limitato e già oggi è noto che "fra due mesi" potremmo ricominciare ad essere "liberi di mangiare".
E questo modo di pensare (o essere?) ha in sè tutti i germi (e forse qualcosa in più) di quegli errori che cerchiamo con forza di combattere.
E allora, come dicevo, bisogna modificare in modo "globale" il nostro "stile di vita".
Che sia chiaro: non si tratta di grandi modifiche, ma più (molto più) semplicemente si tratta di cercare di "fare qualcosa per noi", di cercare di "accettare maggiormente la nostra immagine", di capire che " ora va bene così".
Che sia chiaro "ora va bene così" non è e non vuole essere un'accettazione passiva della nostra realtà, anzi. E' l'esatto contrario.
"Ora va bene così" vale per ogni istante, ma nell'ambito di un programma che ci veda maggiormente protagonisti della nostra vita. Ti faccio un esempio: "io mangio in questo modo" perchè io l'ho deciso, perchè io voglio, e non sarà per due mesi (o tre) ma per sempre perchè così mi va bene.
Potremmo dire che io mangio così "oggi e tutti i giorni che sono oggi".
E allora noterai che indipendentemente dal peso " la nostra immagine si sgonfia".
E chiaro, poi, che dobbiamo trovare altre (cioè diverse dal cibo) "oasi di pace".
Per qualcuno questi spazi si chiamano passeggiate, per altri palestre, per altri nuoto, per altri la danza, per altri lo Yoga. E potremmo fare numerosi esempi.
E' importante, però, "che non ci castriamo castrandoci". Mi spiego (in fondo è il discorso di prima).
Punto fondamentale: decisione di dimagrire.Quindi pagare la pena. Quindi andare in palestra a soffrire.
Ma quando la smetteremo di pagare le pene?

Certo fra 10 giorni sarai ancora determinato nello schema alimentare; si tenga comunque presente che perchè le variazioni di peso siano reali (nel senso di durature) sono necessari "mantenimenti" per 2- 3 anni (ripeto: per due - tre anni).

Su questo aspetto voglio richiamare la Tua attenzione: cosa significa mantenere la perdità di peso per 2-3 anni? [cosa che ormai viene sottolineata da tutti gli studiosi della materia?]

Significa che ormai tutti siamo concordi su un punto: la dieta non serve (almeno nell' ambito della fisiologia).

Quello che è importante è cercare di modificare lo "stile di vita alimentare".


E questo perchè?

Perchè se si vuole modificare in modo duraturo lo "stile di vita alimentare" questo deve avere 2 caratteristiche:

** essere gradevole
** essere una scelta personale.


Vedi tu, è la tua vita..

Per tanto tempo "abbiamo ingannato consapevolmente". Sappiamo da molto tempo - anche noi in Occidente - che l'alimentazione (e ancor più il peso...) è un risultato finale che coinvolge tutto L' organismo. Non vi è (quasi) un ormone, una funzione cerebrale che in qualche modo non sia coinvolto (in modo quantitativamente variabile...) nel determinismo alimentare e nel peso. Pensa che i centri più importanti di controllo del peso e della fame sono posti in zone del nostro cervello che hanno a che fare con il nostro "stato emozionale". Se ti intressa sapere "scientificamente dove sono" ti rispondo le zone ipotalamiche (limbico ipotalamiche). Comunque sia al di là dei nomi importante è sottolineare (con la medicina cinese - vecchia di millenni - o con quella occidentale) che siamo una unità, che non è possibile modificare un aspetto del tutto (il peso ad esempio) senza occuparci anche del tutto.
Il risultato di questa nostro "inganno consapevole" è stato che la percentuale di fallimento ha superato il 95 %.












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